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[piko!] said: _questa è l'immagine che probabilmente non stai vedendo. l'accessibilità in questo caso raggiunge livelli stratosferici.
\\ _su questo spazio è vietato scrivere maiuscolo:.
questa è l'ennesima rumorosa pagina automaticamente generata da un calcolatore silente di nome [piko!], chiuso in un armadio e per questo poco incline alla sopportazione di utenti che puntualmente molesta con interventi poco educati. unico vezzo imposto è lo scriver tutto minuscolo.

screzii e scherzi provenienti dalle urticanti risorse del calcolatore dittatoriale [piko!], motore dell'intero sito.

 
di piko! (del 12/09/2004 @ 11:34:32, in _muy felìz :., linkato 1489 volte):.

le sperimentazioni dei giovani dovrebbero darci un'idea della direzione verso la quale potrebbero muoversi i fervori creativi, le pratiche progettuali, gli impulsi sperimentali.

se la volontà è quella di comprendere la contemporaneità, l'obiettivo è ricostruire il complesso intrecciarsi dei molteplici orientamenti e delle sempre differenti contaminazioni, elaborate in un momento in cui la tensione verso la globalizzazione culturale si mescola con l'esigenza di una profonda riflessione sulla propria identità.

allora esiste ancora la possibilità di creare un'arte, un pensiero, che sia autoctono ed originale? che abbia una patria ed un fondamento storico e geografico? io credo di si. sono convinto che l'ambiente in cui si vive influisca profondamente sulla formazione, fino a quell'età in cui si comincia a guardarsi attorno. personalmente ho cominciato intorno ai nove-dieci anni. ovviamente ci metteva lo zampino anche mio nonno, o mia madre, nel senso che oltre a quel che andavo a cercare da solo mi proponevano altre cose. credo che il vero passo sia stato attorno ai quattordici, in cui ho preparato i primi progetti autonomi. finito il liceo ho sviluppato l'unica cosa che davvero dovrebbe insegnare la scuola: la curiosità e come incanalarla in qualcosa di concreto. le ricerche si sono via infittite, in varie direzioni, e le ho sviluppate in maniera autonoma.

le influenze si manifestano quando un soggetto cerca volontariamente confronto o informazioni riguardo un argomento, e ciò è insito nella ricerca. è ovvio che esistano contaminazioni indipendenti dalla nostra volontà, ma quelle le faccio rientrare nel meccanismo della società, in cui bisogna vivere e che deve per forza influenzarci.

il modo di vestire, i media, la pubblicità, la musica, sono cose che  difficilmente riusciamo a selezionare: incontremo sempre una serie di soggetti spuri, che entreranno automaticamente nel nostro bagaglio senza che ce ne accorgiamo. questo è il guaio di una società globalizzata: un bagaglio vario nel complesso (perchè comunque tutto quello che ci viene propinato deriva dalle più disparate esperienze di professionisti) ma uniforme sulla popolazione. lo stile italiano è ovviamente distinto da quello americano, ma non è precisamente localizzato, regionalizzato nel bel paese ad esempio.

personalmente cerco di evitare che si raffermino in me certi tipi di concetti, evitando volutamente tutto quel mondo glamour che è andato creandosi con il diffuso benestare della società borghese. nel tentativo di evitare musica, cinema, televisione, letteratura, grafica, e quant'altro ci sia di commerciale, sono costretto a capitolare: spesso mi accorgo che il mio percorso si è intrecciato con un qualcosa di già fatto, visto, sperimentato. la fonte principale dalla quale sgorga questo sentimento è internet: strumento effettivamente globalizzante, anche nei suoi lati positivi però. libertà assoluta di espressione, nessuna regolamentazione, nè autorevolezza, non è localizzato, non ha un ordine temporale. è un gigantesco forum disordinato in cui tutti espongono un qualche messaggio.

chi, come me, lo studia, ne è di certo affascinato, anche come esperimento social-antropologico, ma per chi cerca uno stile proprio internet è una maledizione. troppi sono i dati che ognuno di noi potrebbe ritenere interessanti, ai quali poi spendiamo del tempo, sottraendolo al nostro che già è poco. in fin dei conti è come se si stessero raccogliendo informazioni volutamente (e non...!) per tutta la vita, alla ricerca di non si sa cosa. ci si ritrova con dischi di backup pieni di files che a volte nemmeno si leggono, perchè richiederebbe troppo tempo.

a che serve allora tutto questo studiare? nel mio ideale credo che bisogni stringere il più possibile, anche se è forte la tentazione di andare a pescare proprio le ultime frontiere. il guaio è che sono così disperse, e mai raccolte in un solo individuo, o in un gruppo organizzato, che tutta la questione perde senso. se raccolgo in me e sviluppo dieci idee delle avanguardie che ho notato nella rete, non ne esisteranno comunque altre centomila che di certo copriranno l'importanza della mia? allora è importante creare un'avanguardia a livello locale, oppure un qualcosa che sia universalmente valido? e cosa dire delle proprie avanguardie? come fare in modo che le proprie idee, esposte, cadano in mano a qualcuno che le degradi, abbassandole al livello commerciale, invece di innalzarle nell'olimpo dell'arte con un suo contributo creativo?

suppongo di non esser troppo contrario allo scambio di idee, di ispirazioni. le soluzioni possono esser così varie che con lo stesso concetto si possono costruire diversi buoni risultati. ma è davvero utile il confronto con gli altri autori, riguardo i loro intenti? avranno mai costoro una base programmatica, una direzione verso la quale stanno davvero muovendosi? oppure la loro produzione è frutto di una stupida casualità, fatta di proposte che vengono dall'esterno, in seguito rielaborate?

a mio avviso è importante conoscere le altre persone che creano o si occupano di arte. confrontarsi sulle tecniche e sulle conoscenze è sicuramente un utile scopo: spesso molte attività lavorative possono venirci in aiuto, con conoscenze o macchinari a noi inaccessibili; con un piccolo sforzo di overloading, un artista potrebbe utilizzarle in maniera del tutto creativa, ma chi è giovane non ha uno orizzonte su tutte le possibilità espressive offerte. una volta scoperte invece, possono essere utilizzate per realizzare un'opera esattamente per come la si era concepita.

mi si obietterà che anche il processo realizzativo aggiunge del suo, un contenuto extra che deriva dall'esperienza di lavorazione. ma non è comunque tempo di lavorazione quello che si passa in ferramenta a cercare prodotti adatti, oppure quello che si guadagna quando si utilizza un macchinario professionale, ad esempio per il taglio, o la lucidatura di un eventuale legno? vogliamo forse dire che conviene fare tutto a mano, dimenticandoci dei ritrovati che la nostra epoca ci mette a disposizione? io credo che il fine giustifichi i mezzi. e che direbbe leonardo, che passò anni a ricercare l'esatta formula dell'encausto romano? non avrebbe dovuto usarlo perchè era tecnica non sua, ma contaminazione?

comunque tutt'altro discorso è, se ci mettiamo dall'altra parte del vetro.

è necessario spiegare un'opera, o è bene lasciare il processo di lettura agli spettatori? non sono costoro totalmente ignari di tutto il sottofondo culturale, di convinzioni filosofiche e di fantasiose peripezie dell'autore? finora ero convinto che servisse spiegare in qualche maniera quantomeno ciò a cui si voleva arrivare con un'opera.

ora dico che non è necessario. anzi, lo stesso titolo dovrebbe a volte (...in molti tende sempre) ad essere il più misterioso possibile, per lasciare tutta la libertà di interpretazione allo spettatore. chissà, forse una sua convinzione riguardo l'opera lo renderà felice, costruendo un ponte con la sua vita quotidiana, mentre un titolo troppo esplicativo stroncherebbe quella cavalcata dell'immaginazione che avrebbe suscitato un sentimento. da me però, cercherò di evitare i senza titolo: mi sembrerà, oltre ad aver costruito un qualcosa di inutile, come del resto è tutta l'arte, di non aver avuto nemmeno voglia di dargli un nome. è un pò da scarsi o svogliati, a meno che non ci sia una provocazione dietro: anche senza nome, senza titolo, può essere un titolo.

un metro di giudizio molto interessante è che se uno spettatore, chiamiamolo così (...cioè, lo spettatore, non mi riferisco a medio!), medio, rimane per più di dieci secondi davanti ad un quadro, è un successone. mah, ci sono sicuramente cose che non destano la nostra attenzione, che non risvegliano il minimo senso, nè ripugnanza, nè sentimento, nulla. come è possibile? questo non lo so. comunque a questo punto meglio un'opera vaga ed indefinita, che susciti un qualcosa, che un rigido formalismo autoesplicantesi.

questo credo che abbia a che vedere con una sorta di istinto, di affinità che proviamo davanti ad un qualcosa che ci attira. io lo chiamo il magnetico. stai bene ad inventare trucchi di barketing subliminale: ognuno ha il suo, è una questione troppo personale. in un'opera l'istinto rientra qui, perchè è l'espressione del magnetico dell'artista, suo autore.

ma perchè in genere si rimane ad osservare un'opera per due, tre secondi? forse quelle in esposizione sono troppe? forse non ci piacciono i colori? forse ne abbiamo già viste di quel tipo? secondo me è tutta questione di impatto, perchè poca gente prova a chiedersi quel che c'è dietro, dentro, a volte anche fuori del quadro... credo sia come quel fatto che viene descritto nel piccolo principe di de saint exupery: i "grandi" pensano al peso, alle dimensioni, non piace a nessuno sforzarsi di un pò di immaginazione, che poi sforzo non è, è liberazione. quando si conosce una persona o si descrive un oggetto, si chiede quanti anni ha, si dice quanto pesa, quanto è grande. numeri. mai nessuno chiede di che colore è, se è caldo, se è salato, se si muove a scatti o in maniera fluida, che impressione ci dà, se ci vuole bene, se è morbido. non dovrebbe esser troppo richiedere una prestazione del genere al pubblico, un piccolo slancio conoscitivo.

guarda ma non toccare per me è una cosa stupida, anche se mi dispiace vedere impronte di grasso su qualsiasi superficie, ma è un male necessario. alla fine cercherò di pulire. certo, sono anche riusciti a strappare, o addirittura bruciare, ma quantomeno si ricorderanno dell'opera che avevano davanti, perchè ci hanno fatto qualcosa di più attivo del solo osservare. l'hanno conosciuta. allora altra qualità dell'opera dovrebbe essere l'interattività, a livello sensibile o sensitivo, sentimentale e spirituale.

come si fa a creare questo collegamento tra l'opera e lo spettatore? si può esser coinvolti per il soggetto, per il colore, anche per la cornice, o solo per il bianco che c'è attorno. ma le opere devono coinvolgere più sensi? ho sperimentato varie soluzioni, che stimolassero la voglia di esser toccate, magari di nascosto. ho provato anche ad utilizzare materiali che avessero un diverso odore, più o meno consistente, ad esempio la ruggine o un particolare profumo. credo che assaggiare un quadro fosse una cosa che solo van gogh ha provato, quando mescolava i colori al piombo con la bocca. dipingeva a sapore insomma. tocca provarci, magari si scoprono strani risvolti. non dimentichiamo le caratteristiche sonore (particolare sottofondo, o suoni generati dalla stessa opera) e meccaniche (parti che potenzialmente possono esser mosse, ma non lo si fa per paura di distruggere tutto, oppure devono esser necessariamente attivate): ma allora l'opera diventa una installazione? ma l'installazione non dovrebbe anche amalgamarsi con il territorio in cui è inserita? sennò che installazione è?

lo spettatore, passiamo a lui. possiamo chiamarlo così? o è egli stesso che partecipa al processo creativo, in un momento tutto interiore? oppure è solo un lontanissimo scrutatore che guarda, con fare vouyeuristico, nella vita dell'autore? lo spettatore è passivo, è ignorante, o è più forbo degli altri? perchè mai dovrebbe interessargli un'opera che non sia sua? forse perchè egli non ne sarebbe capace, per un puro senso di ammirazione? che l'arte possa suscitare ammirazione, è risaputo. forse perchè gli piacerebbe avere qualcuno di quegli oggetti in casa. appunto, degradando l'arte ad oggetto d'arredamento? del resto oggi c'è ben poca differenza tra le due cose, visto che c'è chi riesce anche a produrre in serie. ma in quel momento lo spettatore non genera l'idea per una installazione, inserendo l'opera in un contesto che lui conosce per un qualche motivo?

secondo me lo spettatore è solo curioso. ed è la stessa curiosità che dà il via al processo creativo, quindi anche lo spettatore crea a modo suo, anzi, comincia a creare nel momento in cui trova qualcosa che trova lo incuriosisce.

possiamo allora concludere che è arte un qualcosa che susciti anche solo un sentimento di curiosità, che è il più piccolo ed il più comune sentimento che si può provare? è allora l'arte alla stregua del gossip dei giornali rosa in edicola? anche quelle son curiosità, di chi sogna una vita che non è sua. tuttavia ci stiamo confondendo con l'ammirazione, desiderio che spinge l'uomo ad arrivare dove, ad una prima considerazione, non può arrivare. allora la mia ipotesi guadagna un peso ancora maggiore: lo spettatore è anch'esso autore, perchè vorrebbe partecipare al processo creativo, spinge per farlo in un istantaneo streben. ma non ci riesce, non si trova nelle condizioni di farlo, o non può.

chi ce lo dice che non può? vogliamo forse dire che l'interpretazione, che è soggettiva e personale (visto che per molti è sbagliato esser troppo precisi nell'esporre motivazioni e significati di un'opera), non è un gesto creativo anch'essa? per quanta fantasia si può usare, si potrebbe stravolgere qualsiasi significato, anche semplicemente estrapolando un pezzettino dal contesto. tuttavia questo è il lavoro che fanno certi critici, ed è una cosa che a me non interessa.

concludo che lo stesso spettatore è artista, perchè è curioso, perchè elabora a sua maniera quel che gli si presenta davanti, e perchè crea una percezione nella sua mente che possiede un qualcosa d'arte, ma che è ancora nello stadio di idea. chissà se un giorno si concretizzerà, unendosi con altre esperienze e magari anche con un pò di farina del proprio sacco, fino a portare il soggetto a creare egli stesso un qualcosa che sia originale.

ritorniamo all'inizio: è impossibile evitare contaminazioni. la società si è trasformata, la cultura è alla portata di tutti, e con essa anche tutti gli strumenti per creare dell'arte, sia essa letteratura, filosofia, musica, pittura, scultura, architettura, arredamento, cinema, fotografia. tutto è davvero alla portata di tutti, se escludiamo i popoli che per via di questa stessa globalizzazione invece diventano via via più poveri. del resto noi viviamo nell'emisfero giusto, ne sono consapevolissimo ed io stesso me ne dolgo.

se ci pensiamo, il primo gesto dell'uomo-artista è stato il voler riprodurre la realtà. me in quel riprodurre, non è forse insito il copiare-rielaborando? i massimi tecnici vengono lodati proprio per la loro capacità di verosimiglianza con il reale. non fanno altro che riprodurre esattamente, con grande perizia, quel che vedono, la loro esperienza. ed ogni esperienza può contribuire.

allora l'arte non è più nulla di elitario, nulla di eccezionale, come invece era nei secoli addietro, forse. non credo sia un peccato, o forse lo credo ma non so come spiegarlo: ma non per via del potere che acquisisce un nome, nè per la sua impronta nella storia. si è creato solo un immenso disordine, ed il mare magnum che è internet ne è la prova più immediata. a me il disordine non piace, perchè l'arte è una questione ordinatissima, nel senso che do io alla parola, e del quale discuterò chissà quando. in questo macello allora, come distinguere chi dovrebbe sciacquare i panni nell'arno? come scegliere le cose da salvare, e quelle da buttare?





questo è l'ordine.

ditemi voi se terreste tutto quel che avete in soffitta e in cantina dentro casa... non avreste più aria per respirare. credo che l'arte sia come una casa in cui si vive, nella quale c'è necessità di respirare. è possibile rimarcare la linea che suddivide quel che è arte, da quel che non lo è?
tra le mille provocazioni, i miliardi di esagerazioni in cui ovviamente chi è poco competente incappa, e l'infinità di copie e fac simili (in cui io stesso cado, perchè spesso scopro di aver avuto un'idea che qualcuno prima di me ha già realizzato!), non si sa più cosa fare. non si può continuare a creare con tutto questo rumore di fondo, anche perchè agli occhi stessi dell'autore tutto perde valore se è già fatto, già visto. sembra di aver creato dei mondi, e si scopre di esser stati comunque preceduti.

oggi anche il kitsch è arte! l'arte del cattivo gusto! ma siamo scemi?! mi sembra una contraddizione in termini: per definizione arte è espressione del Bello Assoluto, no? ah, scusate... anche il bello è soggettivo oggi. quanto individualismo allora... ma no, guarda che l'arte ha anche la caratteristica di essere universale, accessibile a tutti e condivisibile. boh, mi sembra di arrivare ad un livello talmente basso che tutto davvero perde senso, forse è meglio ritirarsi.

l'ordine è la classe, lo stile. creare uno stile personale è tra le cose più difficili che può richiedere la vita, e ciò che permette di distinguere un artista da un'altro, o da uno che non lo è. è questione di formazione, di carattere, di ideali. credo esistano individui che ne sono totalmente privi, altri superdotati ma abbattuti dalla visione di quel che fa il resto del mondo, altri che spingono ignari, ed altri che spingono consapevoli che riusciranno prima o poi ad innovare in qualcosa.

io chiamo i primi tre disordinati. fanno tentativi spuri, senza forti motivazioni. chiudere il cerchio tra arte è scienza è stato uno dei fondamentali motivi di dibattito nel secolo scorso, e dovremmo coglierne i frutti. anche nell'arte serve ordine e metodo: quando si crea un esperimento, non si può andare sempre alla cieca, aspettando una serendipità; deve esserci un filo conduttore che percorre il laboratorio tra un giorno e l'altro.

oggi invece, così frequentemente, c'è un'orda di dilettanti, che sfornano un numero ridotto di opere pro capite: tentativi disparatissimi, lontani uno dall'altro per forma, colore, intento, realizzazione, tecnica. praticamente oggi è come se ogni giorno si ricominciasse tutto daccapo, come quando si riordina la cameretta, e per scrivere bisogna ricercare tutto quel che ci serve nei cassetti. sempre che lo ritroviamo.

è facile rimanere disorientati, e sprecare energie in questo genere di tentativi.

nell'arte classica trovo molto ordine. già la figuratività mette ordine di per sè. i contenuti allegorici mettono un ulteriore contenuto, che badiamo, io non considero affatto un vincolo. è il perchè, è il significato sottinteso. indietro nella storia solo chi aveva particolari conoscenze avrebbe potuto comprendere l'allegoria, il disegno segreto che si cela in ogni dipinto, in ogni scultura. oggi invece, anche se la cultura può potenzialmente essere appannaggio di tutti, nessuno si sforza, nè trova interesse.

quel disegno segreto è lo scibile dell'autore, che viene protetto dalla patina protettiva dell'opera, e viceversa la protegge, rendondola affascinante, misteriosa, ma soprattutto non aperta a tutti. che poi la critica ci ricami sopra è un'altra questione. nell'odierno tutto questo non esiste più. non c'è traccia dell'autore, nemmeno si firma più. sembra tutto una catena di montaggio: mettere insieme i pezzi, e far credere agli altri che sia arte.

questa mia concezione forse deriva dal particolare gusto che trovo nel nascondere indizi, parallelismi, simmetrie, nelle mie opere. è più forte di me, e parimenti mi sembra indispensabile. sento come necessario lasciare una gran parte di me in ogni creazione. che poi gli altri non lo notino, son problemi loro, ed ecco perchè lascio sempre degli indizi che possono esser percorsi in maniera circolare. in questo senso, anche se molte delle mie creazioni sono figurative, esse sono in verità profondamente concettuali, dense di intrinseche allegorie.

badiamo bene invece che l'arte non deve assolutamente essere quel che gli altri intendono per elitaria. evitare spiegazioni perchè altrimenti si degraderebbe la riuscita di un'opera è ben povero espediente. nasconde una insicurezza, che deriva dalla consapevolezza che l'opera di per sè non riesce a sostenersi. è come un'automobile di forma sportivissima, senza motore. credo sia invece più corretto, e coerente con l'appellativo di cui ci si vuole cibare, lasciare una carrozzeria scintillante, ma quantomeno mettere un motore sotto, anche modesto: almeno l'organismo riesce a muoversi da sè.

certo, poi ci sono anche carrozzerie pessime con un signor motore, o opere d'arte totale che oltre ad una realizzazione efficace, impeccabile, sono supportate da un'ideale di fondo massiccio. è questo il caso del caravaggio e del michelangelo, o di piet mondrian e kandinskij.

per come la penso, nascondere la propria essenza è una scusante, utilizzata per sentirsi in alto, ermetici, ma in realtà per evitare spiegazioni che altrimenti non si potrebbero dare, o non si vorrebbero dare. io ad esempio tengo sempre e comunque un registro, in cui annoto qualsiasi dettaglio abbia contribuito a formare ogni mia opera. è un libro con la mia chiave di lettura, magari diversa da quella che vorrebbero leggere gli altri, ma sicuramente esatta, visto che descrive i miei intenti riguardo quella particolare opera. credo che ogni artista debba farlo per correttezza, come gesto di umiltà.

a volte è così evidente la tecnica utilizzata, e seppur povera, desta comunque un profondo sentimento. cosa può significare questo, se non che l'artista non è sintetizzabile in quel che fa, ma nel sentimento che ci mette? tutti sanno come fare un acrilico su tela, ma non tutti hanno l'idea di base per farlo: ecco perchè io dico che è importante lasciare una traccia che testimoni la concezione che sta alla base dell'azione in sè. quella degli artisti comunque rimane una categoria dalla quale ripeto mi tiro fuori, e chissà se mai ci entrerò; speriamo.

a volte mi sento male, perchè non riesco a trovare una maniera effettiva per esporre in un quadro certe mie idee, per fondere certi elementi che sento necessitino una qualche ulteriore elaborazione. è importare continuare a far evolvere ogni concetto, magari ripescandolo tempo dopo. ad esempio io, durante il tentativo di recuparare e riordinare le mie prime creazioni, ho trovato molto su cui lavorare ancora, tanto che non riesco a trovare il tempo di conciliare i progetti cominciati con le idee che sono risorte dal mucchio.

sento a volte la necessità di un'altra armatura che protegga questi elementi dalla banalizzazione a cui assistiamo oggi, che li protegga da quelli che lo guardano due secondi e dicono carino, che li protegga soprattutto da quelli che vogliono spiegare a me, che l'ho fatto, cosa significhi.

questo è il colmo. certe volte i bambini, con cui passo moltissimo tempo, ci arrivano con una tranquillità disarmante, mentre gli adulti inventano certe macchinazioni inutili: spendono paroloni incomprensibili ai più, credo per mascherare le loro inadeguatezze. credono che così anch'essi possano partecipare al processi, solo perchè si sentono incomprensibili, ermetici. ripeto che l'elite sta nella maniera con cui ci si rapporta all'esisitenza, nel motivo intimo che ci spinge a creare dell'arte, che sappiamo esser comunque inutile. questo è il nocciolo della questione: la necessità di esprimere i propri pensieri, che è impellente e deve sfogarsi in qualche maniera.

il vero artista (e tengo a precisare che in tutta la disquisizione l'ho inteso nel senso più ampio del termine, ossia riferito a tutte le possibili arti) è quindi colui che nutre un così forte sentimento verso la vita, che non riesce a contenerlo in sè, e deve esternarlo. tengo in maggiore considerazione coloro che anche se incapaci, hanno costruito nel tempo un sottostrato del genere, che coloro che non saprebbero porti un perchè, visto che non li tange.

come la mettiamo però con l'istinto? è una questione controversa. esistono di certo persone che possiedono l'istinto di creare per necessità o per puro gusto, e dico questo perchè credo di esser tra loro. nell'essere umano però l'istinto è un qualcosa di diverso dagli altri mammiferi. l'istinto è una caratteristica comune a tutti coloro che possiedono un qualche interesse, e che trovano gusto a cimentarsi in esso: proprio perchè è quel qualcosa che li spinge ad interessarsi ad esso.

la differenziazione tra gli individui avviene prima dell'atto istintivo: l'istinto deriva da quel che siamo, con tutte le implicazioni dei nostri pensieri e riflessioni, messi da parte tempo prima. è come confrontare il sesso contemplato come gesto meccanico, con la passione che ingenera l'amore: l'atto in sè non contiene alcuna differenza, ma è quel che proviamo in noi che cambia totalmente. il coinvolgimento emotivo trasforma ed amplifica. quindi istinto e sentimento, pulsione e riflessione, nell'arte devono necessariamente andare di pari passo.

sinceramente, parlo del mio caso, non mi sono trovato a teorizzare forme come kandinskij per creare un quadro di buona riuscita con procedimento scientifico. arriva un momento istintivo, in cui provo la necessità di costruire un qualcosa, per esprimere un qualche sentimento. questo istinto però è supportato dalla base di pensiero che lo ha generato. ossia anche l'istinto ha un motivo dietro, che deriva dalla vita che facciamo, dalle emozioni che proviamo. è impossibile separare questi processi interiori, sono (fortunatamente!) indissolubili, altrimenti ogni opera avrebbe solo la furia dell'ispirazione, o il contenuto della riflessione.

allora perchè bisognerebbe nascondere le proprie opinioni, i propri motivi, le proprie riflessioni su una propria opera? tanto nasce sempre da questi due momenti che si intrecciano: in alcuni autori sono sbilanciati, ma non è necessario equilibrarli, perchè caratterizzano lo stile. però è importante farli presente, come fondamento filosofico dello stile. mettere nero su bianco i propri pensieri è quanto di più utile possa fornire un artista se vogliamo saper qualcosa sulla sua opera. perchè bisognerebbe rimanere sul vago, o non pronunciarsi per nulla?

sono un purista dell'arte, punto. la conclusione di tutto questo è, a mio avviso, che per fare davvero arte, per creare, (fatto che ci piace perchè ci avvicina a Dio, come afferma anche schopenhauer, perchè ci permette di squarciare quel velo di maia che è la realtà, aggiungendo qualcosa che non è reale, è spirituale), è necessaria una profonda autonomia dalla società, una consapevole fusione con il mondo, un decisa forza spirituale, un fermo credo riguardante tutti i sistemi che ci circondano, ed infine una tecnica ed una manualità che ci permettano di concretizzare quel che pensiamo, le cose sulle quali riflettiamo e dalle quali nasce la necessità di esprimersi.

ho volutamente trascurato la cultura, perchè per chi ragiona in questi termini, arrivare a porsi i quesiti che hanno fatto la filosofia della storia e la storia della filosofia viene automatico. la cultura serve solo a sapere cosa ne pensano gli altri su una particolare questione, detto poi che lo si voglia sapere.

il confronto è comunque un cosa che io tengo nella massima considerazione, insieme alla condivisione delle idee e del personale scibile. per rendere però il discorso più generale possibile, perchè c'è anche chi lo aborrisce, ho pensato che dovesse far parte della filosofia di vita della persona stessa, quindi potesse esserci o non esserci, indipendentemente dalle qualità dell'autore. in fin dei conti coloro che son stati disprezzati in vita, perchè eran troppo avanti, con chi avrebbero mai potuto confrontarsi?



una nota finale sull'elìte.

a pensarci bene, credo che già il fatto che ci sia qualcuno che pensi divide la popolazione. è un altro discorso, ma non posso trascurarlo: quanta gente se ne frega completamente di tutto questo? quanta parte di ragazzi non legge, non cerca di discriminare il commerciale dall'indipendente, non crea nulla? allora, rapportandosi al totale della popolazione, uno dovrebbe sentirsi più rilassato, perchè in fin dei conti si dedica a qualcosa? e allora con chi mai ci si può confontare, se solo quattro persone della mia età si interessano di cultura? posto anche che si arrivi ad un qualche punto, nel senso che tra questi cinque si aggiunga ogni tanto una qualche spinta innovativa. allora vedi che l'arte è una questione per pochi?


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