prigioni della mente installazione, 8 arte 2003
trentacinque punte più cinque chiodi, l'idealizzazione di una mano, un testo. sono numeri, simboli e tematiche cari all'autore, sempre presenti per un suo particolare gusto per simmetrie e parallelismi.
la mano. il primo punto di cui trattare è quello dei trascorsi creativi, ma non è questa la sede per descrivere nei dettagli tutti i significati che ha assunto la rappresentazione di questo soggetto. la mano simboleggia cinque proprietà, caratteristiche, cinque lati dell'autore.
la cornice. la necessità di arricchire la figurazione è soddisfatta nella cornice, che vuole trasmettere l'impressione di guardare da una finestra il mondo in cui vive. il filo spinato rappresenta un ideale flusso di coscienza, mentre il chiavistello è un'allusione all'uomo a cassetti (dalì). nelle porzioni più intime della personalità conoscibile di chi ci è accanto, molte sono le porte a noi chiuse, molti i cassetti inaccessibili. in qualità di estranei (seppur notissimi) non è facile ottenerne la chiave, a meno che non si usino metodi poco ortodossi, ed ovviamente indelicati, come sfondare la porta. nessuna chiave. schiudere un semplice chiavistello basta per accedere al mondo dell'autore, che pone la condivisione tra i cardini dell'esistenza. purtroppo però il carattere è solo la punta dell'iceberg della personalità, ed è spesso difficile percepire il pensiero nella sua essenza, per una sostanziale incomunicabilità tra gli uomini (temi pirandelliani e freudiani). ed è a questo che si riferisce il disegno. un urlo non gridato, che compare di spalle, sulla schiena, silenzioso. cosa vuole dirci nella prigionia?
il testo. vedo nitidamente, con la chiarezza con la quale i lampi della ragione fanno risaltare nell'oscurità dell'esistenza gli oggetti che ce la raffigurano, quanto di vile, di stracco, di abbandonato e fittizio ci sia una questa società in cui tuttavia dobbiamo vivere
gli uffici colmi di gente una camera affittata al mese il negozio dell'angolo di cui conosco il padrone come ci si conosce fra persone quei ragazzi sulla panchina il pomeriggio quest'inutilità laboriosa delle giornate
ma fuggire da tutto questo significherebbe ripudiare la propria vita e non serve, perchè qualunque cosa si sogni si rimane sempre dove si è
è una prigione della mente scovare nei cassetti la vergogna di fuggire verso se stessi, la codardia di avere come vita quella spazzatura dell'animo, la tranquillità con cui molti persistono inermi nel circolo vizioso, ci fanno sembrare solo vegetali progrediti
l'arte non possiede pudore nel rivelare eventi dell’anima, anche se questi sono figurati, e comprensibili solo a pochi, le mie prigioni sono un incubo mentale la quiete è il mio contrario io mi nutro di fastidio
anche il testo è chiaramente esplicativo degli argomenti precedentemente esposti, e contiene delle simmetrie, riscontrabili nei simbolismi costruttivi dell'opera, e nella composizione (paragrafi da cinque, cinque, tre, cinque e cinque righe).
idee e considerazioni. un essere umano stanco, snaturato, è abbandonato incatenato faccia al muro (il mito della caverna, platone) all'inerzia di una società da cui però non riesce a distaccarsi. è questo invece il proposito dell'autore, che non intende però escludersi: è importante essere partecipi della vita sociale, principalmente per confrontare i propri ideali, e per non stancarsi mai di essere curiosi e di crescere: l'uomo è infatti un animale socievole (voltaire), e non esiste se non per gli altri uomini. non tutto quindi è ruggine, polvere, decadenza. fondamentale è comunque impegnarsi a cambiare, noi stessi come gli altri (qualunque cosa si sogni si rimane sempre dove si è). l'autore sottilinea inoltre, e ciò si collega all'idea del chiavistello, che l'arte è senza pudore, è sfacciata, a volte cruda, ma che possiede sensi figurati, e va interpretata, necessariamente integrata con i pensieri dell'autore. da qui infatti (e perdonatemi, ma è per sua volontà) la presente esplicitazione dei simbolismi.
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piko!
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