.: 20 grandi storie sullo spirito olimpico, con 33 video e 53 grandi insegnamenti
di piko! (del 18/08/2008 @ 15:39:11, in _muy felìz :., linkato 9882 volte)

Tutto quel che si dovrebbe sapere sullo spirito olimpico, metafora del ricorso storico e dell'essere umano.
Grandi storie e grandi delusioni olimpiche, storie di gioia e di doping, storie di morte e di stupore, storie di persone normali che non hanno retto la pressione della notorietà, o che messe alla prova, davanti al mondo intero, ce l'hanno fatta.

L’australiano Steven Bradbury, pattinatore su ghiaccio che gareggiò nelle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City 2002, “marchiato” dagli esperti come un pippone esagerato, si era qualificato per miracolo alle eliminatorie.
Come nelle storie più assurde, Bradbury riusciva a passare il turno grazie alle cadute degli avversari, che lui evitava essendo (fortunosamente) distaccato di svariati secondi.
Il giovane australiano aveva in passato subito due gravissimi infortuni (recisione dell’arteria femorale tramite il pattino di un avversario e una frattura del collo) che però non hanno smontato la grande passione per il pattinaggio su ghiaccio. L’australiano vince, incredulo, urlando "Oh my fucking God!", la medaglia d'oro, dopo aver visto i ruzzoloni degli avversari.

http://www.youtube.com/watch?v=MqyntxRwxUY


Alle olimpiadi di Sidney, un giocatore di pallavolo ha voluto gareggiare nei 100 metri stile libero per avere l’opportunità di ricevere sponsorizzazioni e costruire un centro sportivo nel suo paese. La gara è incredibile: i suoi avversari vengono squalificati per una partenza non valida (forse concordata visti i fini sociali) ed Eric Moussambani ha tutto il tempo di fare due vasche con uno stile non proprio impeccabile.
Niente record del mondo, niente medaglia d’oro ma è riuscito nell’impresa!

http://www.youtube.com/watch?v=woYG6Uq6OVU


Per la serie africani sulla neve, alle olimpiadi invernali di Albertville un atleta marocchino, pur di dimostrare al mondo l'esistenza del proprio paese, decide di portare a termine il super gigante, seppur una caduta dopo l'altra (a fine video). E non ridere, c'è più dignità in una sconfitta, che nella più maestosa delle vittorie.

http://www.youtube.com/watch?v=GZ0VUu4rmOA


Dave Wottle fu invece vincitore degli 800 metri a Monaco nel 1972, con una storica rimonta. Lui correva sempre con il cappellino bianco.

http://www.youtube.com/watch?v=M7FnvQdtEIo


Agente di polizia e guardia del corpo personale dell'imperatore Haile Selassie, Abebe Bikila (è invalso ormai l'uso di seguire la norma etiope nominando prima il cognome - Abebe - e poi il nome - Bikila-), nato a Mout in Etiopia, divenne un eroe nazionale dopo aver vinto la medaglia d'oro nella XVII Olimpiade. Ai Giochi di Roma nel 1960, la leggenda vuole che Bikila corse e vinse l'intera distanza della maratona senza scarpe. In realtà partì con le scarpe; avendo avuto però problemi ad una di esse durante il percorso decise di continuare senza calzature.

Quattro anni dopo Bikila si presentò in condizioni di forma peggiori alle Olimpiadi di Tokyo 1964. Era stato operato di appendicite sei settimane prima della gara e perse tempo da dedicare agli allenamenti. In questa occasione gareggiò con le scarpe, e vinse nuovamente. Bikila divenne il primo campione olimpico a bissare la vittoria nella maratona, stabilendo anche il miglior tempo mondiale sulla distanza.

Ai Giochi Olimpici estivi del 1968, tenutisi a Città del Messico, Bikila subì le conseguenze dell'altitudine, degli infortuni e dell'età. Fu costretto a ritirarsi dalla gara prima della fine.

Nel 1969, Bikila stava guidando nei pressi di Addis Abeba quando ebbe un incidente. Rimase paralizzato dal torace in giù. Non si riprese mai dall'incidente e morì, alla giovane età di 41 anni, per un'emorragia cerebrale. Lo stadio nazionale di Addis Abeba gli è stato dedicato in suo onore.

http://www.youtube.com/watch?v=Q7ZLB1-Ofyw


L'atleta britannico Derek Redmond gareggiava per una medaglia ai 400 metri di Barcelona 1992, ma uno stiramento gli impedì di continuare la gara pochi secondi dopo la partenza. Invece di accasciarsi e chiamare il massaggiatore, ha deciso con grande dignità, e piangendo, di concludere la gara. La folla esultava in suo omaggio.

http://www.youtube.com/watch?v=fDsigCRtoyg


Jesse Owens conquistò il mondo nell'epoca dei pregiudizi razziali, durante le Olimpiadi volute da Hitler nel 1936 a Berlino. Odiato e disprezzato, vinse 4 medaglie d'oro, davanti ad una folla attonita.

http://www.youtube.com/watch?v=QDkaOSGDweU


Ai giochi di Monaco del 1972, Mark Spitz vinse 7 medaglie, stabilendo 7 record del mondo: 100 metri stile libero, 200 metri stile libero, 100 metri farfalla, 200 metri farfalla, 4 x 100 metri stile libero, 4 x 200 metri stile libero e la staffetta 4 x 100 metri.

Questo incredibile risultato fu offuscato dall'uccisione di 11 israeliani. Spitz fu riportato di corsa a casa, in quanto considerato in pericolo viste le origini ebree. Subito dopo i giochi di Monaco, si ritirò dal nuoto.
Ed ora c'è Michael Phelps: lui di medaglie ne ha prese addirittura 8.

http://www.youtube.com/watch?v=Ccyuse50B5M
http://www.youtube.com/watch?v=emzsB1b2cWw


Stoccolma, 1912. Il 14 luglio si corre la Maratona, 40,2 chilometri (per rendere ufficiali i 42,195 km, cioè la distanza che separa il Castello di Winsdor dallo Stadio Olimpico di Londra 1908, bisognerà aspettare il 1921). Per evitare un altro caso Dorando Pietri, l’organizzazione non si premura di evitare che i podisti si sentano male, ma fa in modo che nessuno possa avvicinarsi agli atleti. Hai visto mai che qualcuno dovesse soccorrere il vincitore a pochi metri dal traguardo? Tant’è, vietati ciclisti al seguito, massaggiatori e dirigenti ai bordi della strada, ma con brillante decisione si parte alle 13.48, con 32 gradi all’ombra e pochissimi punti di ristoro previsti durante il percorso.

Si parte da Stoccolma, si arriva a Sollentuna e si torna indietro. Il tracciato non è pavimentato, c’è tanta polvere e due italiani. Uno, in particolare, Carlo Speroni, ha 17 anni e si ritira a 5 chilometri dal traguardo, quando è in corsa per una medaglia, in preda ai crampi. Correrà fino a Parigi 1924, sarà pluricampione e pluriprimatista italiano dei 10.000, diventerà massaggiatore della Pro Patria. Lo stadio di Busto Arsizio è intitolato a lui. In fondo, comunque, può dirsi fortunato. A non tagliare il traguardo infatti sono in 34. Un portoghese al km 30 si accascia al suolo su una collinetta, colto da insolazione. Si chiama Francisco Lazaro, ma di alzarsi e camminare non se ne parla. Come da regolamento, non ci sono soccorsi. Lo ritroveranno in preda a febbre e convulsioni, lo rianimeranno, ma il mattino dopo ne annunceranno la morte.

E gli altri non arrivati? Tutti trovati, tranne uno. E’ il giapponese Siso Kanakuri. Si mobilita pure la polizia, ma non c’è niente da fare. Non ritirato, ma disperso. Nel tempo, il suo nome divenne una leggenda e i suoi avvistamenti avvenivano a cadenza periodica. C'è chi racconta ai giornali di averlo visto in compagnia di due ragazze svedesi senza alcuna voglia di tornare in Giappone, chi giura di averlo visto correre per le strade di Rotebro, cercando di ritrovare la strada per lo stadio Olimpico. Potevano almeno dirgli che i Giochi erano finiti, visto che molta meno delicatezza si usò poi con i giapponesi trovati nei bunker a svariati anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Ma la Maratona di Kanakuri, in effetti, non era finita. Nel 1962 il direttore di un giornale di Stoccolma, probabilmente in vena di punizioni, decide di inviare un reporter in Giappone con l’ordine di non tornare senza aver trovato Kanakuri. E che cosa faceva uno che si era perso da 50 anni? Insegnava, naturalmente, geografia. Il reporter, infatti, lo trovò in una scuola pubblica della città di Tamana. Al giornalista, Kanakuri raccontò come andarono le cose: a metà gara, vinto dal caldo, aveva lasciato il percorso in cerca di aiuto. Trovò ospitalità presso una famiglia svedese, che lo ristorò con succo di lampone e gli procurò un letto per riposare, un abbigliamento adatto e un biglietto del treno per tornare a Stoccolma. E lui, imbarazzato per non aver portato a termine la gara, tornò in Giappone in nave e in incognito, senza dire niente a nessuno. Non immaginava certo che il giapponese scomparso era diventato una leggenda svedese. Nel 1967, a 76 anni, Kanakuri fu invitato in Svezia. Inaugurò un grande magazzino a Rotebro, poi fu portato allo stadio Olimpico di Stoccolma. Tra gli applausi della folla, tagliò il traguardo. Tempo del vincitore, il sudafricano Kennedy McArthur, 2 ore, 36 minuti e 54 secondi. Tempo dell’ultimo classificato: 55 anni.

http://www.youtube.com/watch?v=7iZfpm6E3zk


Helsinki, 1952. La guerra di Corea è in pieno svolgimento, la guerra fredda inizia anche nello sport, con l’Unione Sovietica che viene ammessa ai Giochi. L’Italia scende in piazza per la legge truffa e porta alla rassegna olimpica dei miti dello sport nazionale come Edoardo Mangiarotti, Cesare Rubini, Renzo Nostini, futuri allenatori di primatisti mondiali come Carlo Vittori (che fu eliminati ai quarti nei 100, con 10”9, e poi guidò Mennea al Mondiale e all’oro olimpico dei 200), futuri attori di grido come Carlo Pedersoli.

Nella stessa vasca dove il futuro Bud Spencer, che comunque rimane il primo italiano ad essere sceso sotto il minuto nei 100 stile libero, viene eliminato in semifinale (anche nella staffetta 4x200 sl), il 30 luglio si disputa la finale dei 400 stile libero. Il favorito è il re delle lunghe distanze, l’hawaiiano Ford Konno, che naturalmente batte bandiera americana. Sembra poter controllare la gara, nonostante a partire in testa sia il francese Jean Boiteaux. Che prende un certo vantaggio, al punto che Konno sembra poter controllare un po’ meno la questione. Poi si riprende, rimonta, nell’ultima vasca il sorpasso sembra certo, ma non avviene. Boiteaux resiste dopo uno straordinario testa a testa, vince in 4’30”07, sei centesimi in meno rispetto al favorito. Record olimpico, tra l’altro.

Jean non ci crede, esulta, sbatte i pugni sull’acqua. Ma non è lui a fare gli schizzi più grandi, perché si ritrova travolto dal tuffo di un uomo di mezza età, completamente vestito, che prima di tuffarsi non si toglie neanche il cappello. Lo abbraccia, ricambiato. L’uomo che si è tuffato in acqua è il padre di Boiteaux e quell’abbraccio va oltre un oro olimpico. I due, infatti, erano in lite perché Boiteaux senior ostacolava pesantemente la relazione sentimentale del figlio. Junior, però, gli aveva strappato una promessa: in caso di vittoria a Helsinki, il padre avrebbe dato il benestare per le nozze. Che si celebrarono, a Marsigliese suonata.

Siccome nulla accade per caso, vale la pena sottolineare un paio di curiosità. Quello di Boiteaux rimase il primo oro olimpico del nuoto francese per 52 anni, prima di quello conquistato nei 400 stile libero femminili ad Atene da Laure Manaudou, una che per le sue relazioni sentimentali non chiede il permesso a nessuno, neanche al suo fidanzato del momento. Già che ci siamo, detto del padre di Jean Boiteaux, sapete come si chiamava la madre? Bibienne, che partecipò ai Giochi del 1924 e del 1928, da nubile non si chiamava quindi Federica, ma di cognome faceva Pellegry. Non ditelo alla Manaudou.

Post scriptum: la Manadou (oro ad Atene nel 2004 nei 200 e nei 400 stile libero, ottava la finale dei 400 stile libero e settima quella dei 100 dorso a Pechino 2008), dopo l'oro nei 200 di Federica Pellegrini, dirà: "E' tutto molto stressante. Per una come me che ha fatto grandi risultati, arrivare qui e non raggiungere questa finale non va bene. Ci sono molte persone che avrebbero dovuto vincere delle medaglie, come Federica sui 400 stile".

http://www.youtube.com/watch?v=_99L0-SZVUY
http://www.youtube.com/watch?v=7jbSXU9PPOw


Melbourne 1956. L’Ungheria è la favorita del torneo di pallanuoto. In semifinale, il 6 dicembre, affronta un altro squadrone, l’Urss. Solo che tre settimane prima i carri armati sovietici hanno invaso la ribelle Ungheria. 25 mila morti da una parte, 7 mila dall’altra, 250 mila profughi. Una tragedia, quando la guerra fredda è più calda che mai. L’Ungheria, a dir la verità, aveva annunciato di non partecipare ai Giochi, ma poi a sorpresa si presentò. Intanto, Olanda e Spagna rinunciarono per protesta contro la presenza sovietica, la Svizzera rimase perché non si trovava più un aereo per tornare indietro, mentre Egitto, Libano e Iraq si fermano per protestare contro la presenza di Israele. Nel villaggio olimpico, l’Ungheria issa la bandiera della guerra d’indipendenza contro l’Austria, roba di un secolo prima. La ginnasta Agnes Keleti viene informata della morte della madre, il marciatore Somogy scopre da un giornale che la moglie è una profuga.

In questo clima, ecco Ungheria-Urss. Tecnicamente, non è una semifinale, ma la gara decisiva del girone. La partita è preceduta da minacce da parte dei dirigenti sovietici verso i giocatori ungheresi. Se c’è una cosa che gli ungheresi sanno fare bene, ancora oggi, è giocare a pallanuoto. Lo fecero e vinsero 4-0. Ma se c’è una cosa che caratterizza la pallanuoto è il gioco duro. Che può diventare durissimo. Non c’era la tv, ma c’erano i fotografi. Quando Valentin Prokopov, dell’Urss, colpì con un pugno Ervin Zador, rompendogli lo zigomo, la piscina divenne una grande bandiera rossa. Gli arbitri assistevano impotenti, interrompendo continuamente il gioco, mentre la caccia all’uomo continuava. Il pubblico era composto in gran parte di esuli ungheresi e sommerse di fischi la nazionale sovietica, mentre i giocatori ungheresi, alcuni dei quali sanguinanti, uscirono tra gli applausi. E poi, naturalmente, vinsero il loro quarto oro olimpico, battendo in finale la Jugoslavia. I giocatori, poi, furono invitati negli Stati Uniti. Sei di loro ottennero asilo politico e non tornarono in patria prima del 1990, tranne lo Zador, che rimase a vivere negli Stati Uniti. Diritti umani, guerre e Olimpiadi. 52 anni fa.

http://www.youtube.com/watch?v=ag19hj2HhLU
http://www.youtube.com/watch?v=MLoA5yLZ4l4


Parliamo di Seul 1988, ma cominciamo da Berlino 1936. Nella Maratona vince il giapponese Kitei Son, con 2 ore 29 minuti e 19 secondi, recordo olimpico. Al terzo posto si piazza il suo connazionale Shoryu Nan. Il primo si è segnalato avendo corso ben sette maratone nel 1935 e il Giappone, terra dove la corsa di lunga distanza è quasi una religione, non se l’è lasciato sfuggire. Il secondo (o meglio, il terzo) ha battuto Son nella prova di qualificazione, ottenendo quindi il diritto ad andare a Berlino. Sul podio, però, quando suona l’inno giapponese, i due chinano il capo. Niente pugno chiuso, niente protesta. Il giorno dopo, un quotidiano di Seul pubblica la foto del podio ritoccata, con la bandiera giapponese cancellata. Il fatto è che Kitei Son in realtà si chiama Sohn Kee-Chung, ed è nordcoreano, come Shoryu Nan, che in realtà si chiama Nam Sung-Yong. La Corea, però, dal 1910 è una colonia giapponese e quindi entrambi hanno dovuto partecipare con un nome… nipponizzato. Che c’entra tutto ciò con la cerimonia d’inaugurazione? C’entra, perché nel 1988 l’ultimo tedoforo fu proprio Sohn Kee-Chung, l’ex Kitei Son, che aveva 73 anni ed entrò nello stadio olimpico con la fiaccola indossando la divisia della Corea.

http://www.youtube.com/watch?v=wbJdiT6TPN0


Barcellona 1992. L’ultimo tedoforo, il cestista San Epifanio, con la fiamma accende il dardo dell’arciere Antonio Rebollo, atleta paraolimpico. Il braciere, infatti, si trova lontano, sopra le tribune, dal lato opposto. Va acceso lanciando una freccia infuocata. E’ l’unica fonte di luce, in quel momento, quando nello stadio tutto è spento. La freccia parte, si infila nel tripode, la fiamma si accende. Tripudio. “Se qualcuno poteva sbagliare, questi era l’arco, non certo io” dice, trionfante, Rebollo. Peccato che una troupe televisiva di “Sky News” sia appostata fuori dallo stadio e il giorno dopo mostri il filmato: la freccia ha mancato il bersaglio, è finita “lunga”, sorvolando il tripode e cadendo fuori dalle tribune. Il braciere, però, si è acceso lo stesso. La tv (spagnola) non aveva mostrato la parte finale della traiettoria, inquadrando subito la fiamma. La tv (americana) ha semplicemente preso un’altra angolazione. E così la tv smascherò se stessa. Per la cronaca, Rebollo non era neanche tanto male, e vinse una medaglia d’argento.

http://www.youtube.com/watch?v=dg_weauz1eI
http://www.youtube.com/watch?v=b5gZeT4TVds

http://www.youtube.com/watch?v=Fca-MbAKOV0


Non solo Pierre de Coubertin non ha mai detto che l’importante era partecipare e non vincere. Non lo pensava neanche. Intanto, partiamo dalla frase, che effettivamente fu pronunciata dall’inventore delle Olimpiadi moderne, ma solo citando un altro personaggio. Nello specifico, si tratta del vescovo anglicano Ethelbert Talbot, della diocesi di Pennsylvania, che nel corso della cerimonia tenuta nella cattedrale di Saint Paul di Londra, in onore dei partecipanti ai Giochi del 1908, a sua volta aveva citato a modo suo la prima lettera di San Paolo ai Corinzi. “Non lo sapete – scriveva il Santo – che nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo”. Il vescovo aveva invertito il concetto, che per San Paolo era una metafora di quanto fosse difficile accedere al Regno dei Cieli, e De Coubertin lo raccolse al volo. Il Barone, infatti, era preoccupato dall’esasperata rivalità che a Londra era scoppiata tra Usa e Gran Bretagna.

Gli americani si erano risentiti di non aver visto la bandiera a stelle e strisce tra quelle che ornavano lo Stadio Olimpico, e allora fecero sfilare il portabandiera con il vessillo rivolto verso il basso. Poi accusarono gli inglesi di aver barato nella finale del Tiro alla Fune e se i “padroni di casa” celebrarono così tanto Dorando Pietri è anche (soprattutto?) perché dopo la squalifica del garzone emiliano, la vittoria andò a un americano, John Hayes. Nella finale dei 400 metri, l’episodio più clamoroso. L’americano Carpenter, il vincitore, fu accusato di aver invaso la corsia dello scozzese (che gareggiava per la Gran Bretagna) Halswelle, impedendogli il sorpasso nel rettilineo finale. Alcune foto lo dimostrarono, Carpenter fu squalificato e la finale fu ripetuta 2 giorni dopo, con le corde a delimitare le corsie. Ma gli altri qualificati, due americani, si rifiutarono di partecipare per solidarietà con Carpenter e così Halswelle vinse correndo da solo, in 50 secondi.

Insomma, per mitigare il tutto, De Coubertin provò a dire che l’importante non era vincere, ma partecipare. E aggiunse che “lo sport è prima di tutto lotta dura per la vittoria. E’ ambizione di fare più degli altri, volontà di pervenirvi”. Bè, il primo ad avere questa volontà era lui stesso. Per scoprirlo, ci vollero altri 4 anni. Ai Giochi di Stoccolma 1912, infatti, si svolgevano anche delle Competizioni d’arte: architettura, scultura, pittura e letteratura. In quest’ultima, vinse l’opera “Ode allo Sport”, scritta dai tedeschi Gorge Hohrod e Martin Heschbach. Niente di entusiasmante. “Oh sport, piacere degli dei, elisir della vita…” è l’incipit. Perché vince, allora? Semplice, perché il presidente della giuria è anche l’autore dell’opera. Sì, Pierre de Coubertin. Che nel 1909 aveva già pubblicato un testo con lo pseudonimo di Hohrod, che poi in tedesco vuol dire “Alto Rodano”. Eschbach, invece, altro non è che il nome di un paese dell’Alto Rodano (appunto), vicino al quale è nata la moglie di de Coubertin, Marie Rothan. Pensavate che il principio secondo il quale chi porta il pallone può rifare le squadre finché la sua non vince fosse nato all’Oratorio? Invece no, l’ha inventato il fondatore delle Olimpiadi moderne.

http://www.youtube.com/watch?v=LzcQW5WZ2dA


Montreal, 1976. Pentathlon moderno. Non quello antico, inventato nel 708 avanti Cristo, che prevedeva corsa, salto in lungo, lancio del giavellotto, lancio del disco e lotta. Ma quello inventato da Pierre De Coubertin in persona, che oltre alla corsa prevede nuoto, tiro, equitazione e scherma. L’Unione Sovietica, sempre sul podio da Melbourne 1956, stavolta è in difficoltà e ristagna al quarto posto, momentaneamente fuori dal podio, seguita dalla Gran Bretagna. Le due squadre si affrontano nella prova di scherma, dove l’Urss è guidata da Boris Onishchenko, oro a squadre e argento individuale a Monaco 1972, argento a squadre a Città del Messico 1968, vari altri titoli (compreso quello di Maestro Emerito dello Sport) e una serie di risultati nella scherma migliorati improvvisamente dal 1970, a 33 anni. Stavolta, però, ne ha 39.

Quando Onishchenko affronta Adrian Parker, che ha 14 anni in meno di lui ed è pure proprietario di una etichetta discografica, gli inglesi notano qualcosa che non va. La spia che segnala il bersaglio valido colpito dall’ucraino sembra accendersi prima che la stoccata vada a segno. Quando in pedana sale James Fox, il “sembra” sparisce: la spia si accende sicuramente prima della conclusione dell’assalto, e segnala il bersaglio valido colpito dal sovietico. A quel punto, la Gran Bretagna presenta ricorso e chiede che venga esaminata la spada di Onishchenko, che nel frattempo continua con un altro attrezzo. Un’ora dopo, la giuria, presieduta da un italiano, emette il verdetto: Onishchenko è squalificato. All’interno dell’elsa, nell’impugnatura, è presente infatti un pulsante in grado di azionare il congegno elettronico che segnala il bersaglio valido, anche se il bersaglio non è stato colpito.

Scandalo, inutile dirlo, ma lo diciamo lo stesso. Nessuno sa se magari è dal 1970 che il sovietico utilizza questo espediente, ma di sicuro nessuno intende fargliela passare liscia. Squalificato, radiato, privato del titolo di Maestro Emerito di Sport, cacciato dal villaggio olimpico, non fu mai più visto al di fuori dei confini dell’Urss. Per campare, farà il tassista. La Gran Bretagna, intanto, si ritrova quarta, ma grazie a una clamorosa prestazione nella corsa di Parker, proprio quello danneggiato dal trucco di Onishchenko, si aggiudica l’oro. Intanto, la stampa inglese conia il termine “Dis-onishcenko” per ribattezzare l’ormai ex Maestro Emerito e quella americana, con la penna di Art Buchwald, usa il suo caso per rafforzare la tesi dell’inaffidabilità dei sovietici in termini di disarmo.

Un americano, però, ne combinerà una simile. Di Onishchenko, infatti, è piena la storia dello sport. Nel 2003, quando all’idolo del baseball americano Sammy Sosa si ruppe la mazza, si rivelò che il battitore l’aveva riempita con un’anima di sughero. Era più leggera, più maneggevole e in grado di lanciare la pallina più lontano. Donald Crowhurst, nel 1969, fu più sottile e più tecnologico, quasi come Onishchenko. Partecipando allla regata in solitario attorno al mondo, senza scalo, pensò bene di fermarsi nelle isole Azzorre. Via radio, però, riusciva a continuare la sua gara, comunicando agli organizzatori la sua posizione. Resta “coperto” in fondo al “gruppo”, ma per una serie di sventure tutti gli avversari che lo precedevano si ritrovarono fuori gara uno dopo l’altro e lui si ritrovò al comando. Troppo. Qualche giorno dopo, il suo trimarano fu ritrovato alla deriva, senza il suo occupante. Non aveva retto lo stress, si era suicidato, si scoprì più tardi. Lo stress uccide, il sughero fa volare, e il pugno può far più male della spada. Nel 1983, infatti, Billy Ray Collins, imbattuto peso welter, viene massacrato dal carneade Luis Resto e riporta danni permanenti agli occhi. Possibile? Sì, dato che l’allenatore di Resto, Panama Lewis, aveva tolto l’imbottitura dai guantoni del suo pugile. Oggi, con il nuovo sistema di punteggi per gli incontri di boxe ai Giochi Olimpici (i tre giudici devono premere contemporaneamente il pulsante affinché il punto venga assegnato), gli sarebbe bastato un congegno elettronico nascosto nel guantone. Peccato ci abbia già pensato Onishchenko nel 1976. O dal 1970?

http://en.wikipedia.org/wiki/Boris_Onischenko
http://www.youtube.com/watch?v=5ZNrqPD_nSo
http://www.youtube.com/watch?v=T7e2xHDZu8s
http://www.youtube.com/watch?v=wI1RB6JYgfU
http://www.youtube.com/watch?v=lHhEfEB82ug


Anche se la storia ci racconta che da quando l’atleta americano Dick Fosbury trionfò a Città del Messico 1968 con il salto dorsale, il “Fosbury Flop”, tutti presero progressivamente ad abbandonare il salto ventrale, imitandolo. Lui, in fondo, di se stesso dice: “Non sono mai stato un grande saltatore. Ho solo avuto una grande idea”. Altrimenti, ammette, non avrebbe mai vinto l’oro olimpico. L’idea, però, non era nuova. Esiste una foto, infatti, portata alla luce nel 2000 dal giornalista Rial Cummings, datata 24 maggio 1963. Uno studente del Montana, Bruce Quande, 15enne, supera l’asticella posta a circa 1 metro e 70 saltando di schiena. Vince, ma dopo un paio di semestri abbandonerà l’atletica. Ha invece una lunga carriera la canadese Debbie Brill, ottava a Monaco 1972 e quinta a Los Angeles 1984 (a Mosca 1980, non ci fosse stato il boicottaggio, probabilmente avrebbe partecipato e vinto). A 13 anni, però, cioè nel 1966, salta già di schiena, con tanto di rincorsa laterale, da studentessa della British Columbia. A differenza di Quande, ha l’idea di aver inventato qualcosa e si preoccupa subito di dare un nome alla sua creatura, chiamandola “Brill Bend”, curva alla Brill. All’epoca, a dire il vero, Fosbury in allenamento già provava il salto che alla fine ha preso il suo nome “solo” perché gli ha consentito di vincere un’Olimpiade. Oggi gira il mondo, lotta contro un brutto male, e parla della sua invenzione. Quande ha 60 anni, è un pensionato, e vive ancora nel Montana.

http://www.youtube.com/watch?v=bfpC_WwxiDM


Ebbene sì, l’origine della Maratona è un falso. Siamo sì nel 490 a.C., con i persiani, guidati da Dario I, che approdano nella baia di Maratona, a circa 40 chilometri da Atene, minacciando di conquistarla. Il generale ateniese Milziade manda quindi un messaggero-corridore di professione, Filippide, a Sparta per chiedere l’aiuto dei più acerrimi rivali. Secondo il racconto di Erodoto (praticamente contemporaneo agli eventi), Filippide percorre i 250 chilometri che separano le due città in meno di 2 giorni e subito dopo torna indietro per riferire a Milziade che gli sparatani non possono entrare in guerra prima della luna piena, perché interromperebbero le celebrazioni in onore di un loro dio. Durante la strada del ritorno, il dio Pan appare a Filippide, promettendogli il suo aiuto. Milziade decide comunque di attaccare i persiani e, pur avendo un numero nettamente inferiore rispetto ai nemici, li batte e li vede scappare in preda alla paura. Anzi, al “panico”, termine coniato in onore del dio Pan, che infuse una innaturale paura alle armate persiane. Il primo a parlare di un messaggero giunto ad Atene per gridare “Abbiamo vinto!” e poi morire, senza mai nominare Filippide, fu Plutarco, 500 anni dopo Erodoto e i tanti storiografi che confermarono la versione originale. La storia arrivò ancor più romanzata a Pierre De Coubertin, nel 1894, su segnalazione di uno storico francese, Michel Bréal. Egli si rifaceva al poemetto “Philippides” composto nel 1879 da un poeta inglese, Robert Browning, secondo il quale Filippide, dopo il tragitto Atene-Sparta-Atene, combattè a Maratona e corse fino ad Atene per annunciare la vittoria. Nessuno verificò e il 29 marzo 1896, su un percorso di circa 40 chilometri molto simile a quello su cui ha vinto Stefano Baldini nel 2004, Spiridon Louis vinse la prima edizione della Maratona. Dal 1982, invece, si corre la “Spartathlon”, gara di 250 chilometri per podisti estremi che parte da Atene e arriva a Sparta. La gara, quella sì, che celebra davvero la doppia impresa di Filippide. Che non solo aveva corso 250 chilometri in meno di 2 giorni, ma era riuscito anche a mettere d’accordo, almeno nelle intenzioni, ateniesi e spartani.

http://www.youtube.com/watch?v=z6q3Gpsba9w


Il sito del Coni, che celebra, giustamente, tutte le medaglie olimpiche vinte dallo sport italiano, menziona anche un bronzo conquistato ad Anversa 1920 nel Tiro alla Fune. L’Italia vince la prima gara per il forfait dell’avversario, perde 2-0 con l’Olanda e a sua volta dà forfait contro gli Stati Uniti. L’Olanda, intanto, perde contro la Gran Bretagna, che vince l’oro. Ma chi ha vinto l’argento? Secondo uno dei pochi rapporti ufficiali esistenti, seconda è arrivata l’Olanda. Poche righe più sotto, però, l’argento viene assegnato agli Stati Uniti, che dopo il forfait dell’Italia avrebbero dovuto gareggiare proprio contro gli olandesi. Nel frattempo, però, gli arancioni avevano lasciato Anversa. Per anni, quindi, si è creduto che l’argento fosse stato assegnato agli Stati Uniti e il bronzo all’Italia. Ma uno studioso belga, rintracciando alcuni esponenti della squadra olandese e fotografandoli con la medaglia d’argento di Anversa, pose fine alla questione. La medaglia fu effettivamente assegnata all’Olanda e il Cio lo ha ufficializzato nel 1968. Nessuno, invece, potè mai fotografare uno tra Arnolldo, Calzolai, Carpi, Forno, Rambozzi, Schiappapietra, Tonani e Zotti, cioè i componenti della squadra italiana, con la medaglia di bronzo. Quella medaglia, infatti, era ed è degli Stati Uniti e solo il sito del Coni continua ad assegnarla all’Italia.

http://www.youtube.com/watch?v=brSO_5q2-Bo


Cerchiamo di dimenticare Marion Jones, Ben Johnson e Tonya Harding.

http://www.youtube.com/watch?v=Q_R9esnDzp0
http://www.youtube.com/watch?v=Kq4KrymPtXY
http://www.youtube.com/watch?v=6Tu86YxqP1c
http://www.youtube.com/watch?v=Cbyi1S1nDiI
http://www.youtube.com/watch?v=DOaqh_50vRc
http://www.youtube.com/watch?v=6rOXJllaCAI


Dieci è il risultato perfetto. C'è stato un momento nella storia olimpica che tutti ricorderanno come "il dieci". Perfetto.
Nadia Elena Comaneci è nata il 12 Novembre 1961 ad Onesti, in Romania.
Ed ecco cosa sono i rom per me.

http://www.youtube.com/watch?v=V5gR0g8lHIs
http://www.youtube.com/watch?v=K4n0x1hijHE