la fantasia si fa scrupolo di sanare con eroici rimedii l'assurdità di alcuni fatti strani della vita, per renderli verosimili. ma pur con tutti i rimedii eroici escogitati, novantanove critici su cento giudicheranno assurdo ed inverosimile il prodotto.
perchè la vita, con tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l'inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l'arte crede suo dovere obbedire.
le assurdità della vita non hano bisogno di parer verosimili, perchè sono vere. all'opposto di quelle dell'arte che, per parer vere, hanno bisogno d'esser verosimili. e allora, verosimili, non sono più assurdità.
un caso della vita può essere assurdo; un'opera d'arte, se è opera d'arte, no.
ne segue che tacciare d'assurdità e d'inverosimiglianza, in nome della vita, un'opera d'arte è balordaggine.
in nome dell'arte, sì; in nome della vita, no.
c'è nella storia naturale un regno studiato dalla zoologia, perchè popolato da animali.
tra i tanti animali che lo popolano è compreso anche l'uomo.
e lo zoologo sì, può parlare dell'uomo [...]
all'uomo di cui parla lo zoologo non può mai capitar la disgrazia di perdere, poniamo, una gamba e di farsela mettere di legno; di perdere un occhio e di farselo mettere di vetro. l'uomo dello zoologo ha sempre due gambe, di cui nessuna di legno; sempre due occhi, di cui nessuno di vetro.
e contraddire allo zoologo è impossibile. perchè lo zoologo , se gli presentate un tale con una gamba di legno o con un occhio di vetro, vi risponde che egli non lo conosce, perchè quello non è l'uomo, ma un uomo.
è vero però che noi tutti, a nostra volta, possiamo rispondere allo zoologo che l'uomo ch'egli conosce non esiste, e che invece esistono gli uomini, di cui nessuno è uguale all'altro e che possono anche avere per disgrazia una gamba di legno o un occhio di vetro.
si domanda a questo punto se vogliono esser considerati come zoologi o come critici quei tali signori che, giudicando un'opera, condannano questo o quel personaggio, questa o quella rappresentazione di fatti o di sentimenti, non già in nome dell'arte come sarebbe giusto, ma in nome d'una umanità che sembra essi conoscano a perfezione, come se realmente in astratto esistesse, fuori cioè di quell'infinita varietà d'uomini capaci di commettere quelle sullodate assurdità che non hanno bisogno di parer verosimili, perchè sono vere.
[...] mentre lo zoologo riconosce che l'uomo si distingue dalle altre bestie per il fato che l'uomo ragiona, il ragionamento appunto (vale a dire ciò che è più proprio dell'uomo) è apparso tante volte ai signori critici, non come un eccesso se mai, ma anzi come un difetto d'umanità in tanti miei non allegri personaggi. [...] non è forse vero che mai l'uomo tanto appassionatamente ragiona (o sragiona, che è lo stesso), come quando soffre, perchè appunto delle sue sofferenze vuol vedere la radice, e chi gliele ha date, e se e quanto sia stato giusto il dargliele; mentre, quando gode, si piglia il godimento e non ragiona, come se il godere fosse suo diritto? dovere delle bestie è il soffrire senza ragionare. chi soffre e ragiona (appunto perchè soffre) per quei signori critici non è umano; perchè pare che, chi soffra, debba esser soltanto bestia, e che soltanto quando sia bestia, sia per essi umano.
ma di recente ho trovato un critico, a cui son molto grato. a proposito della mia disumana e, pare, inguaribile cerebralità e paradossale inverosimiglianza, egli ha domandato a quegli altri critici donde attingevano il criterio per giudicare siffattamente il mondo della mia arte.
dalla cosiddetta vita normale? ma cos'è questa se non un sistema di rapporti, che noi scegliamo nel caos degli eventi quotidiani e che arbitrariamente qualifichiamo normale? per concludere che non si può giudicare il mondo d'un artista con un criterio di giudizio attinto altrove che da questo mondo medesimo.
debbo aggiungere, per dar credito a questo critico presso gli altri critici, che non ostante questo, anzi proprio per questo, anch'egli giudica sfavorevolmente l'opera mia: perchè gli pare, cioè, che io non sappia dar valore e senso universalmente umano alle mie favole e ai miei personaggi; tanto da lasciar perplesso chi deve giudicarli, se io non abbia inteso piuttosto limitarmi a riprodurre certi curiosi casi, certe particolari situazioni psicologiche.
[...] la vita, intanto, col suo beatissimo dispregio d'ogni verosimiglianza... la fantasia si sarebbe fatto scrupolo, certamente, di passar sopra a un tal dato di fatto; e ora gode, ripensando alla taccia di inverosimiglianza che anche allora le fu data, di far conoscere di quali reali inverosimiglianze sia capace la vita, anche nelle opere che, senza saperlo, essa copia dall'arte.
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